Stampa in 3D: come funziona e quali sono i vantaggi per le aziende
Inventata dagli americani negli anni Ottanta, la stampa 3D è anche nota con il nome di “manifattura additiva”. Con questo termine si vuole enfatizzare il concetto di “addizione” di uno strato di materiale sopra l’altro, fino alla creazione vera e propria dell’oggetto. Alcuni esempi di tecnologie additive utilizzate dalla stampa 3D sono la stereolitografia, la modellazione a deposizione fusa o la sinterizzazione laser. A livello tecnico, pertanto, la stampa 3D si colloca nell’emisfero opposto della fresatura, che procede per “sottrazione di materiale”.
Il suo padre fondatore è Chuck Hull, che nel 1983 parla per la prima volta di “stereolitografia” creando la prima stampa 3D della storia. Nei suoi studi, egli la definisce “un metodo e un'apparecchiatura per realizzare oggetti solidi stampando strati sottili di materiale polimerizzabile ai raggi ultravioletti uno sopra l'altro”. Nel 1987 la 3D Systems, società da lui creata e ancora oggi leader di mercato, realizza SLA-1, la prima stampante 3D. Bisogna però attendere gli anni Duemila per assistere alla democratizzazione della stampa 3D, oggi usata da molte aziende per produrre oggetti piuttosto complessi.
Dal 2010 a oggi la stampa 3D ha cominciato a esplorare tutte le sue potenzialità in settori altrimenti sconosciuti. Tra questi citiamo l’industria edile (tramite composti di calcestruzzo), l’agroalimentare (pensiamo alle carni sintetiche) e la biomedicina (dalla riproduzione di organi alle protesi). Una ricerca condotta da Lux Research stima che l’industria avrà un valore economico di oltre 50 miliardi di dollari entro il 2030.
Come funziona la stampa 3D e quali materiali si usano
Dal capitolo teorico passiamo ora al linguaggio pratico: come funziona la stampa 3D e quali materiali si usano? Per rispondere a questa domanda serve però ancora un piccolo sforzo di nozioni, in particolare sul termine “G-Code”: il linguaggio di traduzione delle stampanti 3D.
Si tratta di operazioni (denominate “slicing”) che richiedono una continua familiarità (un singolo G-Code può essere lungo fino a centinaia di pagine), poiché forniscono le istruzioni dettagliate alla stampante 3D sull’intero processo che dovrà compiere (posizioni, movimenti, velocità, temperatura). Una volta che il modello digitale è concluso, esso viene esportato in un file STL, il quale deve verrà poi convertito in un file G-Code da appositi software.
A questo punto si procede con la stampa vera e propria. Usando un parallelismo con la stampa tradizionale, si immagini la testina di una stampante come un grande ugello che lascia fuoriuscire tramite un processo industriale, chiamato “estrusione”, il materiale fuso (o raffreddato) dal foro, generando così la “base” della sezione. Il meccanismo si ripete aggiungendo uno strato dopo l’altro, finché l’oggetto non viene riprodotto.
In assoluto, uno dei principali punti di forza della stampa 3D è la versatilità: è infatti capace di riprodurre in concreto qualsiasi tipo di geometria, ma anche di accorpare tra loro materiali di diversa composizione. Versatilità significa anche sfruttare in maniera complementare tutte le tre vie di manifattura additiva: solido, liquido e per fusione. Senza dimenticare il concetto attuale di sostenibilità: la quantità di materiale sprecato è infatti minima e può essere usata per generare del nuovo filamento. Vediamo ora un elenco dei principali materiali utilizzati nella stampa 3D:
- Plastica: possiamo considerarlo il materiale di “base” per la sua gamma pressoché infinita di applicazioni e per il suo ottimo rapporto costi/benefici anche in termini economici. Tra le varianti più gettonate figurano il PLA (acido poliattico, derivante dall’amido di mais e dalla canna da zucchero), sfruttato per la sua resistenza e robustezza, il PVA (alcool polivinilico) per uso domestico e l’ABS (Acrilonitrile butadiene stirene, conosciuto anche con il nome di “plastica Lego” per l’ampia scelta di colori);
- Metallo: rispetto alla plastica ha delle applicazioni settoriali più definite, come per esempio la gioielleria, ed è utilizzato sotto forma di polvere. Oro, titanio (ottima resistenza al calore) e acciaio inox sono le principali scelte dei professionisti, tuttavia la lista è parecchio più lunga:
- Polimeri: adatti per i processi che comportano alte temperature
Stampa 3D, le principali tecniche utilizzate
A seconda del materiale utilizzato esistono differenti tecniche di stampa 3D, ecco le principali:
FDM/FFF: con questi acronimi si fa riferimento all’impiego di filamenti termoplastici. Attraverso una bobina, la plastica si fonde grazie al calore realizzando gli strati dal basso verso l’alto. È la tecnica più semplice ma anche la più affidabile, sebbene richieda un attento lavoro di post-elaborazione;
- SLA/DLP: siamo alla “famiglia” delle resine, che segna uno step in avanti a livello qualitativo rispetto ai filamenti termoplastici. La differenza tra le due tecnologie consiste nello strumento di progettazione, sia esso il laser (SLA) o un sistema di proiezione digitale (DLP). Indicata soprattutto per quei lavori che richiedono particolare attenzione al dettaglio, nonostante serva comunque un ritocco in post-produzione;
- PBF/SLS: classe di riferimento per la sinterizzazione delle polveri, quasi sempre attraverso la tecnologia laser;
- MJF: siamo nel campo della fusione a getto d’inchiostro. È l’anello di congiunzione tra la stampa classica e quella 3D, almeno nella sua concezione di base.
Prototipazione rapida: un processo fondamentale prima della stampa 3D
Da quanto detto fin qui, si può capire come qualsiasi tecnica di stampa 3D non consente di avere un prodotto finito al 100%. Ecco perché alcuni analisti preferiscono parlare di “prototipazione”, proprio per indicare il carattere “temporaneo” dell’oggetto creato, in attesa di tutto il lavoro di post-elaborazione.
Nel linguaggio tecnico, il termine prototipazione indica tutte le fasi industriali di realizzazione fisica del prototipo, già a partire dalla sua creazione tramite strumenti CAD. Ci sono diverse realtà, tra cui PEA, che puntano molto sulla prototipazione rispetto alla stampa 3D, poiché riduce tempi e costi di sviluppi consentendo di avere una panoramica già chiara dell’output per poi apportarne le successive modifiche.