
Come si è evoluta l’animazione giapponese negli anni?
Le opere frutto della produzione del Sol Levante sono note come anime: in Giappone il termine indica indifferentemente tutti i tipi di animazione, sia quelli prodotti in patria che quelli importati dall’estero.
I primi esempi commerciali di anime risalgono al 1917 ma è solo negli anni Sessanta che il medium ha acquisito le sue peculiarità: oggi, gli anime sono una forma d’arte riconosciuta a livello internazionale. Ripercorriamo insieme questa incredibile storia, dagli albori sino ai giorni nostri.
Evoluzione dell’animazione giapponese: dalle origini ai moderni anime
La nascita dell’animazione giapponese è riconducibile ai primi decenni del Novecento, quando pionieri come Oten Shimokawa, Jun'ichi Kōuchi e Seitaro Kitayama iniziano a cimentarsi con le prime, rudimentali tecniche ispirate ai corti animati occidentali. Durante la Seconda guerra mondiale il governo giapponese usa l’animazione per scopi propagandistici, con Momotaro: Umi no Shinpei, primo lungometraggio animato realizzato nel Paese nel 1945, che gode del sostegno delle autorità.
Dopo la guerra, l’industria vede il suo primo momento di vero splendore grazie ad Osamu Tezuka, poi ribattezzato “il dio dei manga”. Il suo Astro Boy del 1963 segna l’inizio dell’animazione televisiva moderna in Giappone: Tezuka propone nuove tecniche per contenere i costi di produzione e realizzare episodi settimanali. Questo approccio si rivela vincente, trasformandosi in un modello per gli anime futuri: è durante questo periodo che nascono le prime serie iconiche adattate dai manga, come Kimba il leone bianco e Cyborg 009. La crescita esponenziale del settore prosegue negli anni Settanta, con l’introduzione di nuovi generi: le serie mecha, con protagonisti robot giganti, diventano estremamente popolari grazie a titoli come Mazinga Z e UFO Robot Goldrake. Parallelamente si sviluppano anche gli shōjo anime indirizzati ad un pubblico femminile, con opere come Candy Candy e Lady Oscar.
L’età d’oro degli anni Ottanta e Novanta: l’animazione diventa arte
Complice l’evoluzione tecnica, narrativa e stilistica, gli anni Ottanta e Novanta sono spesso considerati “l’età d’oro” dell’animazione giapponese. Quest’ultima diventa sempre più fluida, dettagliata e cinematografica, mentre i generi si espandono e le tematiche diventano sempre più profonde, persino adulte. L’industria diversifica la produzione e si proietta verso il mercato estero. In questo stesso periodo emergono studi d’animazione leggendari come lo Studio Ghibli, fondato da Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
Gli anni Novanta, in particolare, non fanno che consolidare il successo degli anime in tutto il mondo. Evangelion ridefinisce il genere mecha con una narrazione psicologica complessa, mentre Pokémon, Dragon Ball e Sailor Moon conquistano il pubblico internazionale. I Pokémon, in particolare, travalicano i confini dell’animazione, tra videogiochi, giocattoli e carte collezionabili. Anche Dragon Ball Z acquisisce una popolarità straordinaria, definendo gli standard del genere shōnen (per ragazzi) e ispirando generazioni di autori.
Il nuovo millennio e il trionfo globale
Con la tecnologia sempre più integrata nei processi produttivi, negli ultimi due decenni l’animazione giapponese si dimostra in continua evoluzione. Uno dei primi cambiamenti significativi è il passaggio dalla colorazione manuale a quella digitale: nei primi anni Duemila studi come Toei Animation e Madhouse iniziano a utilizzare software per colorare i fotogrammi, ottenendo toni più vividi e maggiore efficienza produttiva. Negli ultimi anni la CGI sta avendo un ruolo sempre più cruciale: dapprima utilizzata solo per effetti speciali e sfondi, oggi è impiegata anche per animare interi personaggi e sequenze. Altri cambiamenti sono rappresentati dall’uso di software di interpolazione del movimento e di nuove tecniche di regia.
Con l’avvento di Internet e dello streaming, poi, gli anime diventano accessibili ovunque. Grazie a piattaforme come Crunchyroll o Netflix serie come One Piece, Naruto, Attack on Titan e Death Note sono seguite in tutto il globo. Gli anime non sono più un fenomeno di nicchia, ma una vera e propria industria culturale. Nel frattempo, lo Studio Ghibli continua a incantare con film come La città incantata (premio Oscar nel 2003), Il castello errante di Howl e il più recente Il ragazzo e l’airone. Dopo aver raggiunto un pubblico sempre più vasto, la sfida sarà quella di mantenere l’identità visiva e narrativa che ha sempre contraddistinto gli anime dal resto dei prodotti analoghi, senza perdere di vista l’essenza di questo straordinario medium.