
Persone comuni o influencer? Come l’acquirente diventa parte della pubblicità
In questo scenario, il marketing non può più ignorare il pubblico generalista: sono proprio gli utenti i veri, nuovi protagonisti del racconto di marca.
Pur non avendo il seguito degli influencer, la forza dell’utente comune risiede nell’autenticità e nella vicinanza con altri consumatori simili a lui. Non si tratta necessariamente di figure più “importanti” degli influencer, ma sono comunque simboli fondamentali e complementari: rappresentano una voce collettiva e spontanea che dà al marchio credibilità e diffusione organica.
Il passaparola nell’era digitale: da chiacchiera a strategia
Il cambiamento in atto è ormai sotto gli occhi di tutti: ciò che un tempo avveniva attorno ad un caffè, in ufficio o tra amici, oggi ha luogo nelle Instagram stories, nei reel, nei TikTok o nei video unboxing di un pacco appena consegnato. Il passaparola si verifica ogni volta che un utente condivide la propria esperienza, anche solo per entusiasmo personale: questa entra a far parte della costruzione dell’immagine di un brand, suggerendolo alla sua cerchia e “validandolo” socialmente.
Si tratta di un aspetto più potente di quanto si possa immaginare: la comunicazione non giunge esclusivamente “dall’alto” – da spot o pubblicità ufficiali – ma dal basso, da persone reali, senza copioni o filtri professionali. È proprio questa spontaneità a renderla credibile, autentica, persuasiva. Quando proveniente da persone simili a noi, insomma, il passaparola si rivela più credibile, autentico e vicino all’esperienza reale del cliente. Genera così fiducia e identificazione, elementi chiave per influenzare le scelte finali di altri avventori.
User Generated Content (UGC): quando le persone comuni “diventano influencer”
Si inizia a tutti gli effetti a parlare di User Generated Content, ossia contenuto generato dagli utenti: ogni recensione positiva, ogni foto di un prodotto ben riuscita, ogni commento entusiasta è un UGC gratuito e genuino, da ricondividere e sfruttare a fini promozionali. Sono le stesse aziende, in certi casi virtuosi, ad incentivare questi comportamenti in modo diretto lanciando hashtag ufficiali, challenge o semplicemente creando prodotti “instagrammabili”. Anche in mancanza di stimoli espliciti, però, gli utenti pubblicano ugualmente ciò che acquistano in modo spontaneo: lo fanno per condividere gusti, scelte, lifestyle, per raccontarsi, per appartenere, per mostrarsi aggiornati o semplicemente per ricevere approvazione.
Non sempre il contenuto pubblicato da utenti comuni rimane confinato nella loro cerchia di amici: premiando l’interazione e il coinvolgimento, gli algoritmi spesso amplificano gli UGC portandoli ben oltre il bacino originario. Una recensione ben scritta, una bella foto, un video divertente o commovente possono finire virali, trasformandosi in campagne di marketing estremamente efficaci, seppur non pianificate. Sta alle realtà più lungimiranti monitorare attivamente questi segnali, selezionando contenuti UGC da rilanciare e creando così connessioni autentiche con chi li genera: si alimenta così un circolo virtuoso tra consumatore e marchio. Concludendo: siamo tutti, più o meno consapevolmente, ambassador digitali dei prodotti con cui interagiamo. Anche senza volerlo, ogni nostro gesto online ha un potenziale comunicativo e commerciale. Il confine tra consumatore e promotore – chi diffonde e valorizza un brand attraverso la sua esperienza personale, contribuendo alla sua visibilità e reputazione – si è assottigliato: basta un click, una foto o una story per innescare una reazione a catena che può valere ben più di una costosa campagna pubblicitaria. Questo aspetto rappresenta un forte segnale di cambiamento: in un mondo in cui ogni cliente è un potenziale media le aziende sono chiamate ad investire di più nelle relazioni autentiche con le persone, progettando esperienze che stimolino il passaparola.