
Giocattoli e povertà: le infanzie fuori dall’economia del gioco
Nonostante i progressi tecnologici e sociali e la globalizzazione, infatti, le disuguaglianze restano profondamente radicate nel mondo: milioni di bambini non hanno ancora accesso a beni che altrove vengono quasi dati per scontati. I giocattoli, insomma, restano un privilegio per molti e non la regola.
Chi non possiede nulla, però, ha la possibilità di immaginare: l’assenza si traduce in creatività, la scarsità diventa motore di abilità. Dove manca l’oggetto nasce l’immaginazione, dove finisce il denaro comincia l’ingegno: è su questo palcoscenico che si sviluppa una fantasia più vivida, più libera, più autentica. E anche se non sempre questi giochi “improvvisati” durano nel tempo, le abilità che ne scaturiscono – l’inventiva, lo spirito d’adattamento, la capacità di risolvere problemi – rimangono, consentendo ai bambini di sviluppare risorse interiori che li accompagneranno per sempre.
Giocattoli e povertà: il gioco in ogni angolo del mondo
Tra le strade sterrate e le case di fango dei villaggi africani, non è raro vedere piccoli capolavori d’artigianato sfrecciare tra la polvere. Si tratta di macchinine realizzate con fil di ferro piegato a mano, le cui ruote sono costruite con tappi di bottiglia o lattine usate: le chiamano “wire cars” e ogni bambino ne ha una diversa. Nessun modello standard, nessuna confezione patinata o scintillante: veri e propri oggetti unici nati da piccole mani guidate dall’esempio di un fratello maggiore, di un genitore o di un amico più grande.
Un po’ ovunque, a partire da alcune regioni del Sud America, si costruiscono bambole con vecchi stracci e lana avanzata. Le facce sono cucite a mano, con bottoni spaiati al posto degli occhi: ogni bambola ha un nome, un vissuto, un carattere. Pazienza che non comunichino premendo un pulsante: sono le voci squillanti dei bambini, con un pizzico di fantasia, a dar loro vita.
Nel cuore delle Filippine, invece, basta una lattina e qualche ciabatta per divertirsi. Per giocare a “Tumbang Preso” si disegna un cerchio attorno alla lattina e una linea di lancio a circa due metri di distanza: un giocatore, col ruolo di “guardiano”, si posiziona vicino alla lattina mentre gli altri, i “lanciatori”, cercano di colpirla lanciando le loro ciabatte da dietro la linea. Se la lattina viene abbattuta i lanciatori devono recuperare rapidamente le loro ciabatte, mentre il guardiano cerca di rimetterla in piedi il prima possibile. Questo gioco tradizionale è un’ottima testimonianza della creatività dei bambini nel trasformare oggetti comuni in strumenti ludici.
Giocare con poco: la nostra memoria, il loro presente
Quelli citati finora sono soltanto alcuni esempi degli innumerevoli giochi nati nei Paesi più poveri, tra materiali di recupero e regole tramandate verbalmente. Ogni cultura ha le sue varianti, ma insieme condividono lo stesso spirito: divertirsi nonostante tutto. Dove non c’è plastica lucida c’è legno levigato a mano, dove non ci sono luci e suoni elettronici c’è il vento che fa roteare una rudimentale trottola sulla terra battuta. Dove non ci sono pupazzi, poi, ci sono sassi con volti disegnati, ritagli di stoffa tramutati in mantelli, scatole di cartone diventate astronavi. E potremmo continuare all’infinito.
Crescendo in contesti lontani dal consumo di massa i bambini sviluppano una forma di creatività ormai rara, quella che nasce dalla mancanza: imparano a vedere un mondo oltre l’oggetto, a trasformare ciò che hanno in ciò che vogliono. Fino a non troppo tempo fa, questa forma di inventiva nata dalla necessità era patrimonio comune. Non serviva andare lontano: anche nei nostri cortili, nelle periferie delle città o nei paesi di campagna, i bambini costruivano mondi partendo dal nulla. Le biglie scivolavano su piste scavate nella terra, le figurine si vincevano con il “soffio”, i bastoni diventavano spade, le scatole robot e le lenzuola stese tra due sedie tende da esploratori. Nessuno pensava che mancasse qualcosa: tutto ciò che serviva per giocare era già lì, tra compagnia, immaginazione e un pizzico di ingegno.