
Marketing e arte: come i brand usano le opere per raccontare storie
Ma perché l’impiego di opere d’arte famose funziona così bene nel marketing? La dimensione artistica richiama un immaginario collettivo potente: l’arte rappresenta un serbatoio di significati condivisi, dove ogni dettaglio è carico di storia, simbolismo e valore. Quando un brand riesce ad attivare questo patrimonio in modo coerente con la propria identità, il risultato si traduce in cultura pop, memoria visiva, connessione emotiva: ben più che pubblicità.
Marketing e arte: quando le opere diventano storytelling
Ciò che lega profondamente marketing e arte è la forza nel raccontare storie: i brand, oggi più che mai, cercano narrazioni capaci di colpire, emozionare, restare impresse. Da qui nasce il legame crescente tra opere iconiche e campagne: capolavori immortali vengono reinterpretati o semplicemente evocati per trasmettere messaggi forti in un istante. Prendiamo ad esempio la Gioconda di Leonardo, uno dei volti più riconoscibili al mondo. Svariati marchi hanno associato questa icona ai propri prodotti: dallo spot Ferrarelle del 1981 alla campagna per lo shampoo Pantene del 2007, che vedeva ritratta la Monna Lisa con una spettacolare pettinatura ondulata.
Pensiamo anche alla Nascita di Venere, dipinto dal fortissimo potenziale evocativo: aziende come Versace o Jean Paul Gaultier ne hanno fatto uso per collezioni o spot al fine di esaltare femminilità ed eleganza eterna. Nel 2023, EasyJet ha rivisitato il capolavoro di Botticelli immaginando la celebre figura in vacanza, con tanto di borsone, selfie stick e tacco in spiaggia. Nello stesso anno, poi, la campagna “Open to meraviglia” del Ministero del Turismo ha visto la Venere trasformata in una sorta di influencer moderna: ad onor del vero questa iniziativa non ha ottenuto un grande riscontro, tra chi l’ha bollata come “grottesca”, “banale” e “triste”.
Marketing culturale: appropriazione o dialogo?
A vedere questi esempi verrebbe da pensare che il marketing si “appropria” dell’immagine artistica per un messaggio, ma non è sempre così. I migliori brand instaurano un dialogo con l’opera: ne rielaborano il significato, ne attualizzano i valori, se ne fanno portavoce. È il caso di Banksy, artista contemporaneo già entrato nell’immaginario collettivo pop: molte aziende hanno usato i suoi murales per trasmettere valori di ribellione, consapevolezza sociale e anticonformismo.
Ma ci sono anche casi di collaborazione etica, dove il marketing diventa un mezzo per rendere l’arte più accessibile. Ad esempio, la collaborazione tra il MoMA e Uniqlo ha portato opere di Van Gogh, Kandinsky e Warhol direttamente su magliette, felpe e borse. Il messaggio: l’arte è per tutti. Una vera e propria forma di “democratizzazione culturale” che, pur viaggiando su binari commerciali, favorisce comunque una diffusione del patrimonio visivo e storico.
Intelligenza artificiale e “remix culturale”
Il rapporto tra opere d’arte e marketing ha espanso ulteriormente i propri confini con la diffusione dell’intelligenza artificiale. Oggi tutto è possibile: si possono generare versioni alternative della Notte Stellata di Van Gogh ambientate su Marte, oppure vedere L’Urlo di Munch trasformarsi in una GIF che urla davvero. Un caso concreto è legato a Coca-Cola, che ha lanciato uno spot ambientato in un museo animato da celebri opere d’arte, tra cui Coca-Cola 3 di Warhol, La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer e La grande onda di Hokusai. Un giovane studente, annoiato e privo di ispirazione, ritrova la creatività dopo aver ricevuto una bottiglietta che rimbalza tra i capolavori e passa tra le mani dei personaggi dei quadri.
I nuovi strumenti, insomma, permettono ai creativi di giocare con il patrimonio culturale globale, trasformandolo in contenuti freschi, interattivi, spesso virali: ciononostante, come abbiamo visto, queste iniziative tendono a dividere poiché toccano un terreno sensibile. Alcuni le vedono come una forma di valorizzazione, altri come una banalizzazione commerciale: è proprio per questo che il confine tra omaggio e sfruttamento è sottile e dipende da tono, contesto e intenzione.