
Mostri, armi e supereroi: i giochi d’azione rendono i bambini più violenti?
Davanti a episodi di bullismo e aggressività giovanile, individuare un colpevole “tangibile” è quasi rassicurante per la collettività: e così, si tende a legare reati e malefatte a serie tv, film, mode o a giochi come quelli con mostri, supereroi, armi e combattimenti. Non ci si rende conto, piuttosto, che le vere cause riguardano spesso disagio sociale, carenze educative, solitudine o mancanza d’ascolto.
Da una parte c’è la preoccupazione di genitori, educatori e media, dall’altra ci sono psicologi, pedagogisti e studiosi del gioco infantile che invitano a scavare più a fondo, senza confondere il contenuto di questi passatempi con il comportamento reale. In questo momento storico, poi, la miniserie televisiva Adolescence, targata Netflix e subito tra i contenuti più visualizzati sulla piattaforma, ha riacceso i riflettori sulla violenza giovanile. È importante, tuttavia, distinguere tra rappresentazione narrativa e realtà, approfondendo un fenomeno complesso e radicato in dinamiche familiari, sociali e psicologiche, che non può essere ridotto esclusivamente all’influenza di un gioco o di un dispositivo.
Bambini violenti e giochi d’azione: cosa dice la psicologia
Innanzitutto, è importante operare una distinzione tra gioco simbolico e comportamento reale. Per loro natura, i bambini sono dei piccoli attori: si calano nei ruoli, si divertono a “far finta”, esplorano emozioni. Possiamo affermare che questo è il loro modo di testare inconsapevolmente i confini tra bene e male, spesso attraverso storie estreme o drammatiche. Di conseguenza, giocare a fare i supereroi o fingere di interpretare un mostro non significa tendere all’aggressività, ma piuttosto esplorare il potere, il coraggio, la paura, il conflitto e la giustizia, in una forma comprensibile e accessibile per il loro vissuto.
Dal punto di vista psicologico, il gioco – anche se inscena scontri e battaglie – è uno strumento fondamentale per elaborare emozioni, metabolizzare esperienze, rafforzare l’autostima. Quando un bambino impugna una pistola giocattolo o mima raggi energetici dalle mani di una action figure sta mettendo in scena una storia in cui può avere il controllo, difendendo ciò che ama da un “male” simbolico. In tal senso, anche i giochi apparentemente violenti hanno una funzione regolatrice e persino terapeutica.
Mostri, armi e supereroi: perché i giochi d’azione non creano bambini violenti
Le ricerche più moderne e aggiornate tendono ad essere unanimi su questo punto: non è il gioco d’azione in sé a creare bambini aggressivi ma un insieme di fattori più complesso. Tra questi troviamo, come accennato in prima battuta, il contesto familiare, la qualità delle relazioni affettive, l’educazione ricevuta, la predisposizione individuale. Se un bambino vive in un ambiente idilliaco, riceve affetto e attenzioni, viene guidato nella distinzione tra fantasia e realtà e ha occasioni per socializzare, difficilmente il gioco con armi finte o supereroi lo porterà a comportarsi con violenza nella vita reale.
Al contrario, proibire in modo categorico questi giochi, soprattutto senza le opportune spiegazioni, rischia di scaturire l’effetto opposto: l’attività potrebbe diventare una sorta di oggetto del desiderio che attira ancora di più i bambini. Il divieto assoluto, inoltre, getta al vento un’occasione educativa: invece di aiutare il bambino a distinguere e gestire le emozioni legate al gioco si alza un muro. Il risultato? Più attrazione, meno consapevolezza: meglio accompagnare che proibire, spiegare più che condannare. A fare davvero la differenza, dunque, è la presenza di un adulto che, al bisogno, possa osservare, partecipare e aiutare a dare un senso a ciò che il bambino sta mettendo in scena. I giochi d’azione, in definitiva, non sono che un’evoluzione moderna delle fiabe e dei miti, parti integranti della tradizione educativa umana: la narrazione del bene contro il male e del coraggio che vince la paura trasformano il gioco in occasione di dialogo e crescita.