
Figlio o genitore: chi è il cliente? Quando a scegliere i giocattoli non sono i bambini
E anche qualora lo fosse, non sempre è il piccolo destinatario a deciderne l’acquisto. In un certo senso, dunque, possiamo affermare che oggi il giocattolo si muove su un doppio registro: da una parte continua ad essere strumento per l’infanzia, in una chiave sempre più “guidata” dagli adulti (genitori, educatori, specialisti), mentre dall’altra è diventato quasi un oggetto culturale anche per questi ultimi. Proprio come un libro, un film, una canzone: un’esperienza attraverso cui l’adulto esplora il mondo, e nel farlo riscopre sé stesso.
Il genitore come “curatore” dell’infanzia
Negli anni, la figura genitoriale ha subito una profonda trasformazione. Non più, o non solo, colui che compra un gioco per “far contento il figlio”: la crescente consapevolezza sullo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo del bambino ha reso il giocattolo uno strumento pedagogico a tutti gli effetti. Mamme e papà scelgono con maggiore attenzione passatempi che stimolino il pensiero logico, la coordinazione motoria, l’apprendimento linguistico, l’empatia.
Queste scelte sono spesso guidate da principi educativi ben precisi, come il metodo Montessori, o semplicemente da una certa visione del ruolo del gioco nella crescita. E così, il mercato dei giocattoli educativi ha iniziato a proliferare: i marchi fanno della qualità dei materiali, dell’efficacia didattica e della sostenibilità i propri cavalli di battaglia. In questi contesti il bambino gioca ma è il genitore a plasmare un’esperienza ludica in funzione di obiettivi formativi.
Il ritorno all’infanzia: il fenomeno dei “kidults”
Sul versante opposto – ma non necessariamente in contraddizione – si colloca il fenomeno dei kidults. Questo neologismo ormai di uso comune accosta le parole “kid” (bambino) e “adult” (adulto). Si tratta di adulti che comprano action figure, modellini Lego, puzzle o videogiochi retrò: lo fanno per collezionarli, esporli o, perché no, per giocarci. In altre parole, lo fanno per sé stessi. Il giocattolo diventa così un mezzo di evasione, espressione personale, spesso anche di nostalgia.
In un mondo in cui la routine è sempre più iperconnessa, ansiogena e frenetica, insomma, riscoprire il gioco si rivela una forma di benessere emotivo. I giocattoli per adulti non sono più una nicchia: costituiscono una fetta considerevole del mercato e attirano investimenti, apposite linee di prodotto e campagne pubblicitarie su misura. Lego, ad esempio, ha creato kit complessi pensati esclusivamente per gli adulti, mentre molti brand di collezionabili fanno marketing esplicitamente orientato a un pubblico dai 30 anni in su.
Genitori e kidults: i punti di contatto
L’aspetto più interessante da osservare è che due mondi apparentemente distanti come quello tra genitori e kidults a volte finiscono per sfiorarsi. Non è raro vedere genitori che, acquistando un gioco educativo per i figli, finiscono per riscoprire il piacere ludico anche per sé stessi. E così, attorno a un tavolo, “piccoli” e “grandi” si ritrovano a giocare insieme, non più separati da ruoli prestabiliti o rigidamente definiti. Pur partendo da bisogni diversi, le due categorie di adulti in oggetto finiscono per incontrarsi su un terreno comune: il valore simbolico del giocattolo. Entrambi non lo scelgono in modo casuale, entrambi lo caricano di un significato più ampio: per il genitore il gioco diventa strumento educativo, per il kidult oggetto emotivo o identitario.
La vera somiglianza tra genitori e kidults sta nel fatto che entrambi vedono il gioco non solo come passatempo, ma come linguaggio: un linguaggio per costruire qualcosa, che sia un legame con il figlio o un ponte con il proprio passato. In queste circostanze, il giocattolo smette di appartenere a una sola età e crea complicità, diventando terreno comune. E così, il bambino ha persino l’opportunità di imparare qualcosa in più, proprio perché l’adulto accanto a lui non si pone solo come guida ma anche come compagno di gioco.